L’Archeologia, come sappiamo, è di immenso ausilio allo studio della Storia e di conseguenza nella ricostruzione del nostro passato.
Fra i grandi ritrovamenti negli scavi, assumono grande importanza le testimonianze scritte, perché sono in grado di essere enormemente più esplicite nella narrazione del loro periodo e spesso sciolgono dubbi legati alle interpretazione di altri reperti.
Non sono rari i casi in cui la scrittura antica ha avuto modo di confermare l’esistenza storica di determinati personaggi, su cui si avrebbero potuto nutrire dubbi. La scrittura ha inoltre accompagnato nella veste di protagonista la crescita culturale dell’uomo.
La scrittura cuneiforme
La scrittura è stata inventata, o almeno così si ritiene, dai Sumeri nel IV millennio a.C. Per esercitarla gli scribi si servivano di tavolette di argilla sulle quali imprimevano i loro segni attraverso uno stilo, e facendo poi seccare il supporto per renderlo solido e definitivo. I segni tracciati con lo stilo, lasciavano sull’argilla delle aste a forma di cuneo, per cui la scrittura relativa fu chiamata “cuneiforme”.
Era sicuramente un sistema non troppo comodo, ma era comunque l’unico possibile a quei tempi, e cambiò radicalmente il percorso di conoscenza nella storia dell’umanità. Parallelamente si scriveva anche su ceramica o altri materiali molto solidi.
Il papiro
Un cambiamento altamente migliorativo si ebbe soprattutto grazie agli Egizi soltanto qualche secolo più tardi con l’adozione del papiro.
Approfittando della crescita spontanea delle piante di questo materiale sulle sponde del Nilo, gli Egiziani scoprirono il modo di sfruttarlo per creare un supporto di scrittura molto più agile, leggero e maneggevole.
Ricavarono infatti delle strisce sottilissime, incrociando le quali, e dopo averle pressate, ottennero dei fogli su cui potevano scrivere grazie a dei piccoli pennelli, tracciando i geroglifici.
Solitamente i fogli in papiro venivano conservati arrotolati, per essere meglio trasportati e conservati. In caso della necessità di componimenti lunghi, si arrivò a legare, o meglio, incollare insieme e sul bordo, diversi fogli, creando dei rotoli.
I limiti del papiro erano però relativi alla sua origine vegetale: il foglio era facilmente deperibile e abbastanza delicato, tanto da non poter essere utilizzato che da una sola parte. Il vantaggio era invece enorme riguardo all’agilità di funzionalità e anche sulla porosità di questo materiale, il quale assorbiva in modo ottimale l’inchiostro, consentendo la massima scorrevolezza di stilo o pennello.
La pergamena
Nel II secolo a.C. circa si arrivò però a uno step successivo che determinò un salto di qualità notevole con l’introduzione della pergamena. Con essa il supporto di scrittura passò ad essere di origine animale. La pergamena è infatti ricavata dalla pelle, in modo particolare da vitelli, pecore o capre.
I vantaggi rispetto a tutti gli altri supporti utilizzati fino a quel tempo si rivelarono straordinariamente maggiori. Si trattava infatti di un materiale più elastico, più robusto, meglio gestibile e conservabile, anche perché meno soggetto al deperimento. L’assorbimento dell’inchiostro risulta almeno pari a quello del papiro, ma con il grande vantaggio di poter essere sfruttato su entrambe le facciate.
La pergamena deve il suo nome alla città di Pergamo, da cui si è sempre pensato provenisse. In realtà non è così, anche se nella cittadina dell’Eolide si produceva in abbondanza.
La produzione di pergamena
Il trattamento della pelle destinata a diventare pergamena assunse una tecnica molto proficua. Dopo aver eliminato accuratamente la superficie superiore dai peli dell’animale, e la parte inferiore dai residui di grassi e carne, la pelle veniva trattata in soluzioni di calce o anche di urina. Dopo questo passaggio si procedeva a raschiare ancora la pelle dalle due parti, in modo vigoroso, per eliminare tutti i residui e per renderla il più liscio possibile.
Il materiale veniva poi steso e fatto seccare fissandolo e tirandolo su una sorta di impalcatura, spesso arcuata a forma di schiena d’asino, per stirarla al massimo, dopodiché veniva ancora sgrattata con la pietra pomice.
Per rendere il colore più uniforme si provvedeva ad un ulteriore trattamento in calce, ed eventualmente all’uso di qualche colorante.
Il passaggio finale era poi la rigatura. Nei primi tempi a mano libera e servendosi di righelli, e successivamente grazie a delle aste graduate fornite di lacci da utilizzare in base alle distanze dei tratti da incidere, si provvedeva a segnare le righe sulla pergamena, affinché gli scribi potessero eseguire una scrittura ordinata e lineare.
La pergamena, data la sua natura, si prestava con grande facilità a incollaggio o anche a cucitura, consentendo la creazione di rotoli molto più lunghi dei precedenti in papiro. Si arrivò ad un’accuratezza tale da abbinare adeguatamente il verso dei fogli di pergamena contigui, per avere una colorazione uniforme.
Sulla pergamena veniva anche più comodo l’uso di stili o penne, e ciò determinò la possibilità di ottenere una densità di scrittura maggiore, compattando le lettere, e dunque permettendo la trascrizione di più testo su superfici equivalenti, risparmiando sul materiale e sulle dimensioni di rotoli e codici.
La pergamena fu utilizzata a lungo anche dopo l’introduzione della carta, e oggi viene prodotta per particolari circostanze o utilizzi estetici.