Un problema ontologico e non semplicemente logico
Anche se ci fa male dovremmo ammetterlo: siamo tutti almeno un po’ razzisti. Forse la totalità non avvertirà i sintomi del razzismo comunemente percepito, ovvero quello che fa riferimento al colore della pelle. Ma una qualche forma di razzismo l’abbiamo provata, magari anche inconsciamente.
Chi scrive ha avuto modo di frequentare a lungo il mondo del commercio del lusso, e può tranquillamente affermare che una certa differenza si fa pesare anche tra ricco e ricco.
Esiste una graduatoria per la quale chi si sente un gradino più in altro rispetto ad un altro, generalmente fa in modo di architettare un modo affinché questa differenza venga evidenziata.
Si tratta probabilmente di un fattore insito nell’uomo. E si badi bene, non solo nell’uomo moderno. Constatiamo infatti che il primo problema che ci si pose dopo la scoperta del Nuovo Mondo, nel 1492 fu di questo tipo. Ci si chiese infatti se gli indigeni, ovvero gli indiani d’America, fossero da considerare uomini oppure animali.
Il motivo di questo “sentirsi superiore” quindi dipende da molti fattori. Innanzitutto metterei quello economico. Difficile provare sentimenti di razzismo verso persone ricche e famose. Sfido chiunque a considerare di serie B personaggio come ad esempio Will Smith o Morgan Freeman. Quest’ultimo è stato “promosso” dal sistema cinematografico addirittura a rappresentare l’immagine di Dio.
Ma esistono anche altri motivi per “sentirsi superiori” e disprezzare il prossimo. Purtroppo anche la cultura. In molti casi chi ha avuto la fortuna di crearsi un background di conoscenze tende a sottostimare chi può solo contare sull’esperienza di vita. E questo aldilà del colore della pelle. Per fortuna non tutti sono così, ma da questo comportamento se ne distaccano ben pochi. E sono coloro che alla cultura uniscono l’intelligenza.
Si potrebbe quindi pensare che l’uomo sia di base razzista, perché nel suo intimo risiede la superbia.
Anche la Filosofia e la Religione in un certo senso, sono coinvolte in questa analisi. L’uomo cerca disperatamente le certezze. Le indaga nel pensiero e nella tendenza a scoprire una divinità superiore. Ma questi concetti non escludono, come potrebbe apparire, la superbia. Il “certo” e Dio sono soggetti che fungono da livella. Istituzioni alle quali si può affidare anche un superbo, perché sono assolutamente superiori a chiunque: anche alle forze umane.
Ma anche gli atei non sfuggono alla morsa. In questo caso c’è probabilmente un ego ancora più forte. Una spinta interiore che fa ritenere l’uomo ancora più in alto degli aspetti di certezza e divinità.
Un problema che visto in questi termini pare non avere soluzione. Se la Cultura unita all’Intelligenza ci farà superare il limite di giudicare dal colore della pelle, avremo sempre lo stop che ci procurerà la differenza di casta, censo e cultura stessa.
Ne deriva quindi che i tentativi di renderci tutti uguali sono né sufficienti né adatti. L’uomo deve unicamente lavorare entro sé stesso. Un buon inizio sarebbe quello di cercare di combattere (ma seriamente) il pregiudizio.