Diritto, sostanza e forma, opportunità e buon senso
Oggi la cronaca e la politica si fondono con Filosofia e Diritto. Ma anche con altre importanti materie del vivere civile di una Comunità.
I problemi che assillano il mondo e il Paese sono gravi e impellenti. Ma nel bene o nel male quanto si discute attorno alla salute e al futuro di uno dei più efferati criminali della Storia della Repubblica, ha una ragione di essere.
Totò Riina sta male.
Pare impensabile possa dirigere da casa le vicende della criminalità organizzata. Questi sono probabilmente i suoi ultimi giorni o mesi di vita. È giusto seguire la norma giuridica che invoca e garantisce umanità nel regolare scontare della pena?
Sono argomenti che esulano anche dalla normale interpretazione del buon senso o del sentimento comune. C’è da far rispettare una norma (quella della pena comminata), ma anche da non trascendere in una Legge che nella gerarchia giuridica ha un peso maggiore, che è l’interpretazione della Costituzione. Queste in linea generale e sintetica le controversie concettuali.
Come sempre, però, chi scrive, trova il modo di investire un ambito più ampio, che è quello della coscienza, ma anche quello del rispetto verso tutti.
Le mie contraddizioni
E qui scatta una delle tante contraddizioni che caratterizzano il sottoscritto. Contraddizioni che non avrebbero senso elencare in un articolo, se non perché le si sentono comuni a molte persone. Sono Cattolico ma non provo pietà!
Onestamente, e chiedo perdono, non riesco a provare sentimenti di carità e pietà, che tra l’altro sono tipicamente Cristiani e Cattolici, per Totò Riina.
“U Curtu”, come nessuno avrebbe osato qualche tempo fa chiamare il capo dei Corleonesi, fu un capo mafioso, ma anche e soprattutto un profeta e un anticipatore. Nascono con lui e con il gruppo dei “Viddani” alcuni atteggiamenti che hanno stravolto le tradizioni della Mafia, come a sua volta la Mafia stravolse le basi concettuali della “Mano Nera”.
Un capo feroce
Totò “U Curtu” fu il precursore della criminalità senza scrupoli né limiti. L’uomo che più di ogni altro badò al sodo e alla concretezza più cruda per ottenere gli scopi prefissati.
Non si preoccupò mai, come invece erano soliti fare i “vecchi” capi, di assumere atteggiamenti che scimmiottavano i potenti. Non ha mai imitato i modi delle alte sfere della Politica. Mai ha assunto modi che sono propri dell’aristocrazia. Era e rimase orgogliosamente un “Viddanu”, un contadino. Coltivatore di morte.
Oggi si discute se è giusto considerare Riina come fosse un comune detenuto o un semplice fruitore del Diritto, quello con la D maiuscola.
Si dimentica però che “U Curtu” non fu mai un “comune” o un “semplice”. E credo che lui stesso, se ancora è o fosse sempre lui, rifiuterebbe sdegnosamente l’usufruire di una agevolazione attribuita per pietà o anche solo … perché spetta a tutti.
Ripeto:
perdonatemi, ma non riesco a provare pietà per Totò Riina. Anche perché, posto che fosse ancora lui, non accetterebbe. E allora c’è da pensare che se è ancora lucido e pretende di uscire dal carcere, lo farebbe per ottenere l’ultima e significativa vittoria sullo Stato. Per estremo spregio.
Totò u Curtu, ha vissuto una vita diversa da tutti. Dal momento dello scoppio dell’ordigno che fece saltare in aria il padre, ma anche prima.
E allora c’è da chiedersi se la forma debba essere maggiore della sostanza e il Diritto maggiore della tutela. Domande alle quali non so e non voglio rispondere. Ma se la Legge è Uguale per Tutti, e se le sentenze sono in Nome del Popolo Italiano, ci sarebbe anche da chiedersi se il Popolo Italiano vuole che Riina cessi di scontare la sua pena.
Chiedo perdono, ma io non provo sentimenti di pietà e carità per U Curtu!