Ha già salvato Cipro, Spagna e Grecia ma se dovesse essere di utilità per un Paese “affidabile” in difficoltà sarebbe di danno per gli Stati piccoli
MES, acronimo di Meccanismo Europeo di Stabilità, o “Fondo salva-Stati”. Se ne parla da anni ma é tornato prepotentemente di moda ora, in un momento storico drammatico come quello che sta attraversando il nostro Paese, con il PIL al tracollo e la recessione più importante dal 1929 ad oggi. Inducendo a riflessioni su possibili aiuti dall’Europa. Le discussioni non sono mancate, anche nelle “alte sfere”, soprattutto dopo che nell’ultimo Eurogruppo é stato concordato l’utilizzo del “Mes senza condizionalità”.
Ma per capire perché é così importante, facciamo un passo indietro e vediamo di cosa si tratta e come funziona.
Entrato in vigore del fondo salva-Stati, nel luglio del 2012, in anticipo rispetto all’entrata in vigore prevista, a causa di una crisi del debito sempre più pressante, la funzione di questo strumento, regolato dalla legislazione internazionale, é quella di mantenere la stabilità finanziaria all’interno dell’Eurozona. Per prestare assistenza agli Stati membri che in un determinato periodo di tempo si dovessero trovare in forte difficoltà, emette prestiti sulla base di condizioni piuttosto rigide, previa valutazione dello stato di salute del Paese che ha chiesto aiuto e definizione del suo fabbisogno finanziario. É già avvenuto per Cipro, Spagna e Grecia.
Allo stato attuale é gestito da un Consiglio dei Governatori costituito dai ministri delle finanze dell’Eurozona e da un Consiglio di Amministrazione, nominato dai Governatori. Ne fanno parte anche un Direttore Generale e, senza diritto di voto, anche il commissario europeo agli Affari economico-monetari e il Presidente della BCE. I diritti di voto sono proporzionali rispetto alla quota versata da ogni Stato.
Nel 2017 é stato proposto di rivedere il trattato istitutivo e sul punto si sta ancora discutendo. L’Italia non é mai stata d’accordo. Pertanto, richiedendo la riforma del MES l’approvazione dei Governi e la ratifica parlamentare di ciascuno Stato, il “no” dell’Italia é vincolante.
I nostri Governi hanno sempre ritenuto troppo aspre le condizioni per poter accedere al fondo salva stati: non essere in procedura d’infrazione; vantare un deficit inferiore al 3% da almeno due anni; avere un rapporto debito/PIL sotto il 60% (o, almeno, aver sperimentato una riduzione di quest’ultimo di almeno 1/20 negli ultimi due anni.
Inoltre, al MES si critica il rinnovato potere della Banca Centrale Europea e, di conseguenza, le limitazioni imposte al settore bancario e ai governi nazionali. Ma soprattutto ci is oppone al fatto che la somma a garanzia fornita agli Stati in difficoltà possa essere suddivisa e composta dalle partecipazioni degli altri Stati membri. Poiché ogni Paese deve garantire uno status di affidabilità, é chiaro che alla quota versata da ciascuno viene riconosciuto un interesse diverso. Ciò significa che se uno degli Stati in grado di garantire maggior affidabilità dovesse trovarsi in difficoltà e aver bisogno del MES, la quantità dei fondi che non potrebbe più garantire verrebbe automaticamente spalmata sugli Stati più piccoli. Ecco perché al MES bisogna dire “no”.