Martin Hudacky “Monumento ai bambini mai nati “
Oramai le giornate di “festa” o di commemorazione si sprecano.
Esiste la festa della mamma, del papà, il giorno dei gatti, dei nonni, degli zii, ecc. si commemora e si ricorda tutto. Anche quello che alcuni preferirebbero dimenticare. Anche quello che altri preferiscono ignorare.
Quasi nessuno sa che il 15 ottobre è la giornata dei bambini mai nati.
In questo giorno, in tutto il mondo, si celebra la consapevolezza sulla morte infantile e sulla perdita del bambino durante la gravidanza. In pratica è la giornata di commemorazione mondiale delle morti in utero, delle morti per ITG e delle morti perinatali.
Da anni, alla fine di questa giornata, avviene
l’ Onda Di Luce .
Si chiede a tutti di accendere una candela e di porla sul davanzale alle ore 19.00 cosicché, per tutta la giornata del 15 ottobre, un’onda di luce attraverserà tutto il pianeta.
Un fuso orario dopo l’altro.
Chi ha vissuto una perdita dolorosa sa benissimo che una candela non potrà arginare il suo dolore ma potrà far percepire agli altri il suo lutto. Un lutto che viene sminuito e non compreso da molti.
Perché è così. Nell’immaginario comune, la perdita di un bambino non ancora venuto al mondo, non viene compresa, viene sminuita e talvolta ignorata. Non viene riconosciuta alcuna genitorialita a chi non riuscirà a prendere neppure una volta suo figlio tra le braccia. Ma quel figlio c’era. È esistito. C’era una cameretta, deglia abitini e tanto amore ad attenderlo. Avete pensato che non esiste neppure un nome per chiamarle questo tipo di donne senza figli? Sterili? No, non lo sono. Perché loro hanno generato. Loro hanno visto il loro corpo mutare. Loro hanno sentito un’altro cuore batterle dentro. Loro sanno cosa vuol dire nutrire un piccolo essere col proprio corpo. Sì, loro lo sanno.
Canne vuote. In alcuni luoghi le donne incapaci di generare nuove vite vengono chiamate così.
In Italia una donna su cinque non riesce a portare a termine la gravidanza e non poter avere il bambino tanto desiderato è una mancanza dolorosissima. Una mancanza che non si confessa con facilità.
Lessi da qualche parte che un giorno una bambina chiese ad una giornalista dove fosse il suo bambino. Quel bambino non c’era più ma lei volle comunque rispondere. Disse un nome. E prosegui’ dicendo che lui era piccolo piccolo, nessuno poteva vederlo ma viveva dentro al suo cuore.
Una pancia viva e piena che si svuota all’improvviso ha bisogno di un nome. Una donna che subisce questo tipo di perdita ha bisogno di elaborare il suo lutto. Ha bisogno che il suo lutto venga percepito e compreso.
Perché la strada sarà lunga e sempre in salita. Saranno molti i giorni in cui si sentirà difettosa. Saranno molti i giorni in cui fantasticherà vedendo i passeggini o i bambini sull’altalena. Saranno molti i giorni in cui sentirà addosso lo sguardo pesante delle madri se terrà in braccio il loro bambino per troppo tempo. Saranno molte le volte in cui le amiche le diranno, anche per cause banali << Tu non puoi capire, tu non sei madre >>.
Saranno troppi i giorni in cui lei non avrà il coraggio di rispondere così:
Io sono una madre. Una madre interrotta.
Deborah Riccelli.