Siamo la generazione del “SO TUTTO!”
I social hanno scatenato numerosi fenomeni, ma penso di non esagerare se ritengo il «narcisismo dilagante» fra gli aspetti più pericolosi.
Ogni argomento che viene pubblicato su una piattaforma social è oggetto di discussione, e questo è normale e potrebbe essere un aspetto positivo.
Dove «casca l’asino», come spesso accade, è sull’utilizzo delle risorse.
Le notizie, una volta verificate ( ma sono pochi coloro che lo fanno), vengono nella maggior parte dei casi contestati da individui che amano, attraverso una presa di posizione alternativa, dare sfoggio di una competenza, che in moltissimi casi non hanno.
Questi interventi, al di là di ciò che i «tuttologi» pensano, sono oggetto di derisione e di dileggio, perché evidenziano un’ignoranza di fondo negli argomenti che sono oggetto delle discussioni.
Cosa induce dunque queste persone a esporsi così tanto fino a divenire ridicole? Psicologi e sociologi hanno approfondito la questione, e hanno in iniziato a dare delle risposte.
Prima di tutto occorre considerare come funzionano i social. Oggi queste piattaforme, attraverso il controllo dei commenti, delle amicizie, dell’adesione a specifiche pagine e altro ancora, sono in grado di capire, con un’approssimazione crescente, la tendenza di pensiero di ogni utente in relazione a argomenti specifici.
Fatto questo, gli algoritmi dei social, dirigono ad ognuno, con prevalenza, i contenuti che assecondano queste tendenze, che siano corretti o meno, falsi o veri, giusti o sbagliati: si tratta di una tecnica che prende il nome di eco-camera digitale, per cui un cattolico riceverà prevalentemente post cattolici, e a un ateo saranno evidenziati in maggioranza post che sostengono l’inesistenza di Dio. E così per ogni argomento.
L’utente, di conseguenza, si convince sempre di più nelle proprie convinzioni e acquisisce una malsana sicurezza su determinati campi.
A quel punto subentrano gli ambiti psicologici. Si sente la necessità di far vedere che in certi campi si possiede una soluzione geniale, dovuta a deduzioni personali (convinzione spesso evidentemente falsa). Emerge perciò il bisogno di appagare la sete di riconoscimento personale, di acquisizione di meriti, e di elogio alla propria «intelligenza».
Sono aspetti che vanno a colmare alcune latenze create dalla società moderna. Prevale l’illusione di credersi (o meglio, farsi credere) un individuo emergente per intelligenza e cultura; essendo però un’illusione, tende a ingannare soprattutto sé stessi. L’importante però è convincere gli altri di essere «qualcuno con una marcia in più».
Sono evidenti turbe della personalità, che sicuramente non sono gravi né patologiche, a condizione che non superino certi livelli.
Per questo motivo l’approccio ai social dovrebbe essere più responsabile, sia nell’esprimere opinioni che nel commentare, ma soprattutto sviluppando una grande attenzione a ciò che si condivide online.
Una volta si diceva che una notizia era vera perché «l’ha detto la televisione», e già questo la dice lunga. Oggi la situazione è ancora più delicata in quanto le maglie dei controlli, in rete, sono molto allentati e vi si trova veramente di tutto.
La Sociologia e la Psicologia ha evidenziato un’esaltazione dell’io ideale, profondamente astratto, in rapporto all’io personale che è quello concreto, sfociando poi in un’auto-referenzialità senza basi.
La soluzione? Non è facile, ma soprattutto dipende da una auto-regolamentazione, almeno finché non ci sarà una formazione indirizzata all’uso dei social. Ma affinché ciò avvenga dobbiamo attendere anni: noi resteremo purtroppo la ridicola generazione dei “So tutto!”