Impariamo a conoscere chi tutela i Diritti.
In Italia la proliferazione di organismi che si occupano del tema delle pari opportunità, a fronte di una programmazione generale spesso poco chiara e disorganica, ha generato non poca confusione sulle funzioni e i compiti specifici.
La figura della/del Consigliera/e di Parità viene spesso confusa ed identificata con altri ruoli, ed è sempre complesso e faticoso, spiegare ogni volta, ai vari livelli, le differenze dei compiti e delle funzioni.
Le politiche di indirizzo generali hanno spesso contribuito a generare tale fraintendimento, poiché hanno tracciato un sistema complesso, fatto di sovrapposizioni e saturazioni di ruoli e funzioni.
La/il Consigliera/e di Parità, è la figura istituzionale voluta dal legislatore italiano per rendere concreti e attuabili quei principi di uguaglianza, di pari opportunità, di rispetto della dignità della persona, indipendentemente dalla sua diversità, contenuti nella nostra carta costituzionale.
In quanto pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni, figura autonoma ed indipendente rispetto all’ente territoriale di riferimento, la/il Consigliere/a di Parità ha avuto, fin dalla stesura del primo testo normativo a riguardo – la legge 10 aprile 1991, n.125-, competenze specifiche per l’attuazione dei principi di parità e pari opportunità uomo-donna nel lavoro. Tali attribuzioni specifiche si individuano nella concreta azione di tutela su fattispecie di discriminazione rilevabili nei rapporti di lavoro.
La Storia
Ma proviamo a fare qualche passo indietro, e senza alcuna pretesa di esaustività, ripercorriamo alcuni episodi storici ed interventi normativi che, lungo tutto il secolo scorso, hanno segnato il non ancora concluso cammino delle donne verso l’acquisizione di diritti che oggi sembrano quasi scontati.
Da una concezione di tutela delle donne orientata alla predisposizione di azioni ed interventi di protezione, si è passati ad un’ottica di promozione della piena ed effettiva partecipazione delle donne alla vita politica, sociale ed economica.
Tra gli ambiti storicamente più interessati dalla evoluzione normativa in materia di pari opportunità si colloca sicuramente il lavoro femminile.
Si evidenzia come la normativa si sia svolta nella direzione dell’affermazione della parità di trattamento tra gli uomini e le donne, in vista di un rafforzamento della presenza femminile nell’ambito del mercato del lavoro.
Proprio la necessità di innalzare il livello delle donne occupate e, contemporaneamente, di assicurare loro le condizioni per una stabile permanenza nel mercato del lavoro, ha portato ad una progressiva rilevazione dei principali fattori di criticità che caratterizzano il lavoro delle donne. Fattori che si possono sicuramente ricondurre alle esigenze di “conciliazione” tra vita familiare e vita lavorativa, ovvero quel famoso “doppio ruolo” femminile, speso tra lavoro e famiglia, che da sempre connota la condizione della donna lavoratrice.
Passando anche attraverso la grande svolta emancipativa segnata dalla cd. Legge Sacchi ( l.n.172/1919), che aboliva l’autorizzazione maritale per le donne, alle quali si riconosceva il libero esercizio di tutte le professioni, eccezion fatta per la magistratura, la diplomazia e le carriera militare, il primo grande e più significativo passo delle donne verso la cittadinanza sostanziale, si ebbe il 2 giugno del 1946, quando, con una partecipazione quasi equivalente a quella maschile ( 89%), le donne parteciparono alla votazione per il Referendum istituzionale e l’Assemblea Costituente. All’Assemblea furono elette, su 556 membri, solo 21 donne. Un numero esiguo ma determinante nelle stesura del testo costituzionale. Gli articoli riguardanti le donne sono l’art 3, l’art. 27, l’art 31, l’art. 37 e infine l’art 51.
E’ bene citarli tutti, poiché in essi si trovano le radici e le ragioni dell’istituto della Consigliera/e Consigliere di Parità.
Oltre alla nostra carta costituzionale, è bene ricordate, nel contesto internazionale di riferimento, la più importante carta internazionale dei diritti delle donne, ovvero la CEDAW ( Convention to Eliminate All Forms of Discrimination Against Women. L’aspetto più innovativo della Convenzione riguardava la formulazione di azioni positive ( art.4) . “L’adozione ad opera degli Stati Membri di misure speciali temporanee finalizzate ad accelerare la parità di fatto tra uomini e donne non è considerata una discriminazione secondo la definizione della presente Convenzione, ma non deve in alcun modo comportare il mantenimento di norme diseguali o distinte; tali misure sono abrogate quando sono conseguiti gli obiettivi di parità di opportunità e di trattamento”. In un simile contesto, si giunge finalmente, a livello nazionale, alla legge 125/1991 sulle azioni positive per la realizzazione della parità uomo-donna. Questa legge si pone in piena attuazione del principio di uguaglianza sostanziale sancito dall’ art 3,comma 2, della Costituzione, e oltre a fornire una definizione esplicita di “discriminazione” riconosce per la prima volta la pericolosità della discriminazione indiretta, ovvero non correlabile a situazioni o comportamenti a immediato effetto discriminatorio.
Essa inoltre ha fornito una normativa più compiuta riguardo a ruolo e funzioni dei Consiglieri e delle Consigliere di parità, già istituiti con decreto n.276/84, convertito con legge 863 delle stesso anno1.
L’art. 4 di tale provvedimento lo inquadrava come “consigliere per l’attuazione dei principi di parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro”, inserendolo nelle allora Commissioni Regionali per l’impiego in qualità di membro designato dal Ministero del Lavoro, con funzione meramente consultiva.
A distanza di 35 anni dalla nascita di questo istituto, tanti passi importanti sono stati fatti, tanti se ne devono ancora fare.
Vediamo nel dettaglio chi è cosa fa la Consigliera/e di parità nella nostra Regione
L’art 15 del Codice sulle pari opportunità enuclea compiti e funzioni delle consigliere e consiglieri di parità, attribuendone funzioni di rilevazione di squilibri di genere sul lavoro relativamente all’accesso, alla progressione di carriera, alla formazione professionale, alla retribuzione, al licenziamento/dimissioni e agli aspetti pensionistici.
Sono chiamate a svolgere azioni di promozione del principio di pari opportunità nelle politiche attive, nei progetti di azioni positive, ed in ogni altra iniziativa utile allo scopo.
Le azioni positive sono volte, in particolare a
– eliminare le disparità nella formazione scolastica e professionale, nell’accesso al lavoro, nella progressione di carriera, nella vita lavorativa e nei periodi di mobilità;
– favorire la diversificazione delle scelte professionali delle donne in particolare attraverso l’orientamento scolastico e professionale e gli strumenti della formazione;
– favorire l’accesso al lavoro autonomo e alla formazione imprenditoriale e la qualificazione professionale delle lavoratrici autonome e delle imprenditrici;
– superare condizioni, organizzazione e distribuzione del lavoro che provocano effetti diversi, a seconda del sesso, nei confronti dei dipendenti con pregiudizio nella formazione, nell’avanzamento professionale e di carriera ovvero nel trattamento economico e retributivo;
-promuovere l’inserimento delle donne nelle attività, nei settori professionali e nei livelli nei quali esse sono sottorappresentate e in particolare nei settori tecnologicamente avanzati e ai livelli di responsabilità;
– favorire, anche mediante una diversa organizzazione del lavoro, delle condizioni e del tempo di lavoro, l’equilibrio tra le responsabilità familiari e professionali e una migliore ripartizione di tali responsabilità tra i due sessi.