Inchiesta de “L’Espresso”
Dalla Regina Elisabetta ad un ministro di Trump. Il ministro delle Finanze brasiliano e il tesoriere canadese. I “furbetti” del fisco non hanno nazionalità o etnia. E c’è da chiedersi cosa ci raccontano, se loro stessi non credono nella loro politica.
L’inchiesta del settimanale “L’Espresso” è spietata e fa nomi eccellenti.
La documentazione riguarda 13,7 milioni di dossier per migliaia di società offshore che sono collegate agli uomini politici tra i più potenti del globo.
Oltre ai politici, tra cui spicca tra gli altri la regina di Giordania, figurano i nomi di imprenditori, come ad esempio il co-fondatore di Microsoft, Paul Allen, e di artisti come Madonna e Bono.
Non mancano i militari, il cui nome eccellente è quello di Wesley Clark, che ha ricoperto l’incarico di Comandante supremo della Nato in Europa.
La considerazione da fare è molto semplice: quanti sono tra loro quelli che attraverso proclami ci hanno invitato ad avere fiducia nelle politiche economiche dei vari rispettivi paesi? E quanti hanno addirittura promosso azioni di investimento che loro stessi non hanno effettuato?
Perché solo loro?
Il rischio è che l’inchiesta giornalistica “Paradise Papers” crei unicamente un’ondata di sdegno, senza però far riflettere sulla propria gravità.
Tra i denari investiti nei paesi di coloro che non ne hanno fiducia, ci sono sempre dei denari di gente che ha sudato una vita per avere il minimo sufficiente alla sopravvivenza. Mentre questi “ricconi” straparlano e fanno evidentemente gli imbonitori ai fini di giustificare la loro presenza in ambiti fruttuosi. Ai danni della “povera gente”. E per povera gente intendo tutti coloro che devono assistere passivamente e inermi a questi sconci.
Delle due una!
O si effettua una politica seria contro i paradisi fiscali, senza badare agli interessi incrociati e al castello di carte costruito in determinate oasi finanziarie (anche europee). Oppure si consenta anche ai normali cittadini di investire all’estero senza penalizzarli se “pescati” con le mani nella marmellata.
La seconda è una teoria ovviamente utopica. Perché ridurrebbe a zero la potenzialità economica di ogni Stato. Anche perché non si è mai pensata una cosa che dovrebbe essere sacrosanta: una volta pagate le tasse, con i denari residui dovrebbe essere concesso farne un po’ ciò che si vuole.
L’attuale sistema prevede invece, evidentemente, tassazioni su tassazioni. Prelevando sui redditi, e poi ancora su quanto frutta il residuo. Nessuno denuncia questa stortura. Ed il motivo è molto semplice: ai potenti non interessa questa ingiustizia, perché loro, portando i soldi nei paradisi fiscali, non vengono colpiti.