IUS SOLI LE RAGIONI DEL SI
di Alessandro Lanteri
I diritti dei nuovi italiani sono al centro della mia attenzione ormai da diversi anni. Come ampiamente prevedibile , lo slittamento della discussione a fine legislatura ha minato e reso impossibile il formarsi di una maggioranza attorno a questa legge: cialtronate mediatiche e cattiva stampa rendono impossibile un civile confronto tra le parti politiche sui diritti civili, quando c’è odore di elezioni. Un esempio su tutti: il nome che la stampa (minuscolo) ha affibbiato a questa legge è “ius soli”; di conseguenza, tutti sono portati a pensare che preveda la concessione della cittadinanza a chiunque nasca in Italia, mentre i requisiti sono molto più stringenti.
Il compromesso
Di fatto, l’attuale formulazione della legge, nata come compromesso attorno a questa possibile maggioranza, ha pregi e difetti, ma non credo abbia più senso parlarne. E’ invece fondamentale discutere delle problematiche di alcuni milioni di persone che sono italiani di fatto, ma non di diritto.
La situazione più difficile e paradossale riguarda, tra i residenti in Italia, alcuni milioni di bambini e ragazzi, che sono nati e cresciuti qui in Italia senza essere legalmente italiani e senza la prospettiva di esserlo in un tempo ragionevole – per essere chiari, io credo che italiani lo siano di fatto, anche se non di diritto. Credo che la loro situazione umana sia quella più difficile, in quanto di fatto non fanno parte della comunità di origine, che non possono materialmente conoscere, né hanno gli stessi diritti dei loro compagni di scuola – banalmente, anche un viaggio studio per imparare una lingua all’estero può diventare un problema.
Un rapido confronto con altri Paesi europei fa vedere subito la differenza: nel Regno Unito si diventa cittadini britannici alla nascita se un genitore ha il permesso di soggiorno permanente o al decimo anno di età, in Germania all’ottavo anno di residenza regolare di uno dei genitori, in Francia bastano 5 anni di residenza cumulativi tra gli 11 e i 18 anni oppure due anni di università francese. In Italia servono 18 anni continuativi di residenza e un processo burocratico lungo e complicato. Succede che alcuni si vedano annullata la richiesta perché magari una volta sono andati a conoscere i nonni nel Paese d’origine.
Extracomunitari
Stiamo ovviamente parlando di naturalizzazione di cittadini extracomunitari, in generale verso i paesi UE ci sono procedure più veloci, da cui salta fuori il paradosso che teoricamente è più veloce diventare prima cittadino tedesco e poi italiano che direttamente italiano. Contemporaneamente, abbiamo circa cinque milioni di italiani all’estero, di cui una buona percentuale lo è diventata per ereditarietà senza aver mai vissuto nel nostro Paese e molti senza esserci nemmeno mai stati.
Credo che molti ragazzi, nati e cresciuti qui in Italia, siano già italiani e mettere inutili ostacoli burocratici non serve ad altro che a creare inutili e controproducenti divisioni.
Non credo possa esistere una legge perfetta su questi temi: stabilire con un criterio burocratico quando una persona possa diventare completamente parte della propria comunità è ovviamente molto opinabile. Una politica seria deve trovare un compromesso ragionevole e il più possibile condiviso, nell’interesse della comunità che già vive e risiede nel nostro Paese, che è insensato sia divisa tra italiani di Serie A e Serie B.